Caffè coltivato in Italia? Esiste, in Sicilia

Un caffè tutto italiano esiste: nasce vicino Palermo, è curato da due fratelli imprenditori agricoli ed è lavorato da un torrefattore di Alcamo.

Sperimentazione, coraggio e pazienza hanno fatto nascere il primo caffè Made in Italy.

Il contesto è quello di una piantagione di frutti tropicali in Sicilia.
L’intuizione è venuta dalla necessità di creare in serra le condizioni per far “ambientare” due piante di Caturra del Costa Rica (una varietà dell’Arabica), ma buona parte del lavoro l’hanno fatto il clima siciliano e la siccità di quelle terre. Il caffè 100% italiano infatti nasce nelle campagne di Terrasini.

Proprio in quell’area nei primissimi anni del ‘900 era già stato tentato un esperimento simile. L’iniziativa non era di un privato, tanto che furono i giardini dell’Orto Botanico di Palermo a essere scelti per dar vita al primo caffè coltivato in Italia.

Non andò benissimo. L’inverno rigido del 1909 uccise le venticinque piante di Coffea Arabica, che fino a quel momento stavano crescendo rigogliose.

Considerato il fattore ambientale e le numerose difficoltà della piantagione in campo aperto, ci si convinse che il sogno di far nascere un «caffè mediterraneo» fosse impossibile da realizzare.

Ma è proprio in quella zona che quattro anni fa due fratelli hanno raccolto la sfida del caffè siciliano, italiano e biologico; ad aiutarli un torrefattore alcamese, che lo avrebbe lavorato e messo in commercio.

Sei mesi di studio della pianta, le prime fioriture e la prova del palato per quei pochi che fino a ora hanno potuto assaggiarlo: il risultato sembra ottimo.

La raccolta rigorosamente fatta a mano, la fermentazione in botti barrique già usate per il vino e poi l’essiccazione a 45 gradi costanti. Sono questi ultimi passaggi che regalano al caffè il suo aroma e un profumo unico; poi la tostatura attenta e puntuale chiude il cerchio. In due o tre anni infine la vendita, perché è questo il tempo che deve passare dalla semina alla raccolta.

Per ora le piante crescono in serra – usando un accorgimento che prevede di farle stare all’ombra degli alberi di banane, come nel loro habitat naturale – ma i due imprenditori non escludono di tentare la coltivazione in campo aperto.

L’obiettivo dichiarato è quello di arrivare a 250 piante, in modo da poter produrre un caffè di altro profilo.

Ma niente andrà sprecato, perché i tre hanno pensato anche a cosa fare degli scarti della lavorazione: con la buccia rossa del caffè verranno prodotti dei coffee tea, mentre grazie alle “pellicole” che avvolgono il chicco si otterranno delle tisane di pergamino.

E chissà che questo esperimento non sia il primo di una lunga serie, magari in quelle zone d’Italia nelle quali un clima favorevole potrà dare sostanza alla scommessa.